God’s not dead, campione di incassi nelle sale USA (ha guadagnato, nel solo weekend di esordio, quasi cinque volte il budget della produzione), arriva in Italia grazie all’impegno di Dominus Production di Federica Picchi, ed è stato presentato ieri all’UCI Cinema di Milano Bicocca alla presenza dell’assessore regionale alle culture, Cristina Cappellini, e dell’autore della storia, Rice Broocks, scrittore (e pastore evangelico) del Tennessee. Una storia che, in una certa misura, racchiude la sua vicenda: convertitosi a Cristo durante il college, nei suoi primi anni di fede si è dovuto confrontare con il fratello, ateo dichiarato, e con le sue obiezioni. Esperienza che, una volta vinto il duello familiare e conclusa l’esperienza universitaria, lo ha portato a continuare a girare gli atenei USA per rintuzzare le tesi di chi, appunto, sostiene che “Dio è morto”, o che non è mai esistito.
Da questa esperienza pluridecennale, fatta di confronti ma anche di studi e letture approfondite di autori schierati in campi opposti, è nata l’idea di un romanzo apologetico, dove tesi e antitesi si alternano in un serrato confronto tra la tracotanza del professor Radisson (Kevin Sorbo), un docente di filosofia fieramente ateo, e la profonda, ancorché acerba fede cristiana di Josh Wheaton (Shane Harper) un giovane studente del primo anno di corso, l’unico della classe a dire “no” alla singolare richiesta dell’insegnante, e che per questo motivo viene sfidato a una sfida dialettica in tre round.
I due attori – un Kevin Sorbo che ricorda vagamente dr. House, uno Shane Harper che ben rappresenta le potenzialità inespresse dello studente – interpretano bene le rispettive parti, in un crescendo di intensità, davanti a una classe a sua volta sempre più coinvolta dal dibattito.
A margine della storia principale (tratta da una storia vera, anzi, più di una: sono almeno una quarantina negli USA le cause legali per episodi simili) si sviluppano, intrecciandosi tra loro, un pugno di vicende umane collaterali: il rapporto di Josh con la fidanzata, messo in crisi dall’opposizione di lei a una sfida che mette a rischio il loro futuro; lo stupore dello studente cinese che, per la prima volta, sente parlare di una fede che non conosceva; il percorso interiore di una blogger alternativa (il titolo della sua testata, “Nuova sinistra”, ben riassume le sue convinzioni); il dramma di Ayisha, figlia modello di un islamico convinto, che vive in segreto la sua fede cristiana. Non manca nemmeno un tocco di humour, concentrato attorno alla figura del pastore, il reverendo Dave, punto di riferimento per Josh e diversi co-protagonisti.
Le vicende collaterali, in realtà, vengono tratteggiate in maniera sommaria e talvolta chiuse un po’ frettolosamente, ma contribuiscono ad arricchire la storia rappresentando quadri e caratteri umani diversi tra loro che rendono diverso l’approccio e la reazione degli esseri umani di fronte alla fede, offrendo così allo spettatore un’ampia gamma di spunti di riflessione e, perché no, un’occasione per immedesimarsi nelle scelte dell’uno o dell’altro personaggio.
L’equilibrio trovato dal regista Harold Cronk – insieme alla colonna sonora dei Newsboys e alla partecipazione di Willie Robertson, della serie tv Duck Dynasty – rende “God’s not dead”, nonostante la lunghezza significativa (quasi due ore), un film apologetico ma non noioso. La sfida, ora, è verificare se il lavoro convincerà, o almeno intenerirà, gli atei, gli agnostici, gli indifferenti e gli incerti almeno quanto è piaciuto ai numerosi credenti (prevalentemente giovani) presenti all’anteprima a Milano, che hanno punteggiato la proiezione di applausi e, al termine, hanno fatto incetta del libro e hanno trattenuto a lungo un disponibilissimo Broocks per un saluto, un autografo, una foto, una preghiera.
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