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Contese

, 26 Agosto 2019

Qualche anno fa, nel cercare di arrivare a casa di mio suocero a Genova, accettai il suggerimento del navigatore che indicava una via a me sconosciuta che mi avrebbe fatto guadagnare qualche minuto.

Mi ritrovai a percorrere una stradina tortuosa, in discesa,  molto stretta, al punto che gli specchietti quasi toccavano i muri laterali, ma, cosa più grave di tutto, era una stradina contromano; ma io non avendo visto alcun segnale di divieto la imboccai incoscientemente.

Quando realizzai la situazione, iniziai a provare un po’ di paura; la via grazie a Dio non era molto lunga e così dopo qualche minuto arrivai alla fine; ma proprio quando stavo per tirare un sospiro di sollievo, mi si parò davanti una macchina che imboccava la strada in salita, nel giusto verso di percorrenza. Entrambi ci fermammo e scendemmo dalla macchina. L’altro guidatore inveì subito contro di me; io mi scusai e gli chiesi cortesemente di fare marcia indietro in modo da farmi uscire; in fondo si trattava per lui di fare solo pochi metri in retromarcia. Lui non ne voleva sapere e mi disse più volte che, essendo io in torto, ero io che dovevo fare io marcia indietro e ripercorrere tutta la strada in salita in retromarcia. Restammo diversi minuti a discutere, lui minacciava di chiamare i carabinieri, io ribattevo che percorrere quella strada così stretta in salita in retromarcia sarebbe stato un suicidio;  poi, alla fine, si convinse e fece marcia indietro liberando così la strada.

Lo ringraziai e la cosa finì lì, senza danni per nessuno e con una limitata perdita di tempo per tutti.

In realtà però io per diversi giorni continuai a meravigliarmi dell’accaduto;  quel signore sembrava disposto a stare fermo lì anche per lungo tempo pur di “far valere” le sue ragioni; sembrava disposto a “farsi del male”, cioè perdere tempo, pur di far del male a me.

Non so quale sarebbe la spiegazione di uno psicologo o di un sociologo per un comportamento di questo tipo, ma la Bibbia ci spiega qual è la vera ragione. È quello spirito di contesa, di cui parla il primo capitolo della lettera ai romani, di cui vediamo continua dimostrazione; l’uomo è litigioso, profondamente litigioso, anche per futili motivi, lo vediamo per le strade, tra gli automobilisti, tra i  vicini di casa, tra i colleghi di ufficio, in ogni situazione di convivenza volontaria o forzata.

E la Scrittura ci dice anche dove questo spirito di contesa nasce: come tutti gli altri peccati, è il prodotto del peccato per eccellenza, la disubbidienza a Dio, il rifiuto di riconoscere Dio per chi Lui è veramente.

Siccome non si sono curati di conoscere Dio, Dio li ha abbandonati in balìa della loro mente perversa sì che facessero ciò che è sconveniente; ricolmi di ogni ingiustizia, malvagità, cupidigia, malizia; pieni d’invidia, di omicidio, di contesa, di frode, di malignità; calunniatori, maldicenti, abominevoli a Dio, insolenti, superbi, vanagloriosi, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza affetti naturali, spietati (Romani 1:28-31).

 

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