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La vocazione di Matteo

, 30 Gennaio 2019

Tra le mille bellezze di Roma, vi è una chicca nascosta in una piccola chiesa vicino a Piazza Navona. Si tratta di un capolavoro di Caravaggio, chiamato “La vocazione di Matteo”. Il quadro mostra Gesù nell’atto di chiamare il futuro apostolo, impegnato al banco delle imposte ed è ispirato ai racconti evangelici (esempio Matteo 9:9), che raccontano appunto di come Matteo, un pubblicano cioè un esattore delle tasse, sia  stato chiamato da Cristo  proprio mentre esercitava le sue funzioni.

Al di là dell’indubbio valore estetico, dell’uso dei colori e dei giochi di luce che hanno giustamente reso famoso Caravaggio, il quadro è notevole anche per il messaggio contenuto.

Colpisce ad esempio l’atteggiamento di Matteo che, sorpreso dalla chiamata, punta  il dito contro se stesso  quasi a voler dire: Gesù stai chiamando proprio me che sono il più grande dei peccatori, la creatura più indegna,  l’ultimo degli ultimi, il reietto della società? Io non so se Caravaggio fosse un credente ma ritengo che avesse capito bene il concetto di grazia di Dio e l’abbia qui rappresentato in maniera splendida; la grazia infatti è il favore immeritato di Dio verso le sue creature; e davanti alla grazia la reazione non può che essere di  incredulità e di sorpresa nel constatare la misericordia divina, nel contemplare Dio che ci offre gratuitamente la salvezza, nonostante tutto quello che siamo, come recita una famoso canto evangelico.

Questo atteggiamento, come quello di Matteo, è però abbastanza comune all’inizio di una conversione, specie se il convertito proviene da situazioni di vita disagiata. Poi invece, con il passar del tempo, subentra una sorta di assuefazione alla grazia, proprio come Israele si abituò facilmente alla manna al punto da esserne nauseato (Numeri 21:5).

Preghiamo allora  il Signore che questo non accada anche a noi e che non smettiamo mai di sorprenderci davanti alla grazia.

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